NEWS
Home / News

La riservatezza in mediazione: la riservatezza "interna"

Il principio di riservatezza è uno dei cardini della procedura di mediazione, che da sempre ne ha caratterizzato il valore e tale per cui molte volte le procedure vengono prescelte su base volontaria proprio per giovarsi di tale caratteristica.

La ratio della segretezza è quella che al tavolo di mediazione venga favorita l’instaurazione fra le parti di un clima libero e disteso, di sincero confronto, tanto nelle sessioni congiunte quanto più in quelle separate, in modo tale da consentire ad ognuna di esse di aprirsi senza timori all’altra parte e soprattutto di confidarsi al mediatore, potendo esprimere senza paura il proprio punto di vista e le relative aspettative e bisogni.

Gli artt. 9 e 10 D. Lgs. 28/2010, sia nella stesura originaria che in quella novellata dalla Riforma Cartabia, tratteggiano infatti la riservatezza in plurimi dettagli, declinandola rispettivamente nell’obbligo della riservatezza interna ed esterna e delineandone nel contempo l’ambito soggettivo e oggettivo.
Tale obbligo di segretezza è anche deontologicamente sanzionato, essendovi uno specifico articolo nel Codice Deontologico forense dedicato agli obblighi dell’avvocato mediatore (art. 62 Cod. Deont.).
 

Riservatezza interna: cos’è? A chi si estende e cosa è coperto da riservatezza?

L’obbligo di riservatezza interna è l’obbligo di riservatezza che grava durante la procedura.
Esso impone il dovere di riservatezza ad alcuni soggetti specificamente individuati (ambito soggettivo) e su alcune circostanze parimenti definite (ambito oggettivo).

1) Ambito soggettivo della riservatezza interna in mediazione

L’ambito soggettivo dell’obbligo di riservatezza è previsto dall’art. 9 D. Lgs, 28/2010 e si estende: alle parti, ai legali, al mediatore, al co-mediatore, al consulente tecnico della mediazione, ai tirocinanti, ai funzionari e al personale di segreteria dell’organismo di mediazione.
Essi sono obbligati al segreto per legge; alcuni di essi, altresì, sottoscrivono i documenti della procedura e quindi il regolamento, che a loro volta esplicitamente impongono loro anche ex contractu l’obbligo di riservatezza.

Fino a prima della novella Cartabia, Si poneva però il problema del “soggetto terzo”, che ad esempio poteva partecipare anche a un solo incontro della procedura, ma che era dubbio fosse obbligato alla segretezza: il sostituto del legale, il delegato della parte che partecipa in luogo della parte stessa, il soggetto terzo che viene autorizzato a partecipare all’incontro insieme alla parte stessa (moglie, marito, compagno, figlio, ecc…), il consulente di parte.

Nella prassi, per ovviare ai dubbi di cui sopra e sigillare all’interno della procedura la necessaria segretezza, venivano predisposti dagli Organismi appositi moduli da far sottoscrivere al “terzo” per impegnarlo alla riservatezza, atteso che la sua partecipazione agli incontri veniva consentita solo su espresso accordo di tutte le parti.

Con la Riforma Cartabia il testo sulla riservatezza dell’art. 9 del D. Lgs. 28/2010 è stato rafforzato, con l’introduzione della seguente previsione: “Chiunque […] partecipa al procedimento di mediazione è tenuto all'obbligo di riservatezza”, così sgombrando il campo da qualsivoglia interpretazione sull’ambito soggettivo del dovere di segreto e ampliando tale ambito soggettivo della riservatezza interna a tutti coloro che in qualche modo hanno a che fare con la procedura stessa.

Gli Organismi non dovranno quindi più attrezzarsi a far sottoscrivere dichiarazioni ad hoc da allegare al verbale, ritenendosi che quale adempimento idoneo secondo la novella possa essere quello di dare atto a verbale della presenza all’incontro del “terzo” e raccogliere la sua firma nel verbale medesimo, unitamente al documento identificativo da inserire nel fascicolo della procedura.

2) Ambito oggettivo della riservatezza interna in mediazione
L’obbligo che grava durante la procedura sui soggetti sopra individuati secondo il disposto dell’art. 9 D. Lgs. 28/2010, ovvero la riservatezza interna, ha ad oggetto le seguenti circostanze (ambito oggettivo):
  1. le dichiarazioni rese dalle parti”
  2. le informazioni acquisite durante il procedimento”.
Non tutto quello che accade o viene dichiarato nel corso del procedimento di mediazione è infatti coperto da segretezza e dunque i soggetti della procedura hanno il divieto di divulgarlo, ma la riservatezza ha un ambito oggettivo più ristretto e specifico, avendo ad oggetto unicamente queste due circostanze.

Poiché, di conseguenza, l’obbligo di riservatezza ha un evidente contraltare su quella che è l’area della corretta verbalizzazione da parte del mediatore, si comprende quindi come tutte le circostanze di tempo, di luogo, le identità delle presenze all’incontro, i fatti storici che accadono all’incontro, etc. non siano coperte da riservatezza e dunque la parte e il legale le potranno divulgare, ed altresì il mediatore le potrà verbalizzare.

Di contro, le illustrazioni delle questioni, le proposte e controproposte delle parti, i riconoscimenti reciproci che ciascuno possa fare nel corso della negoziazione, le motivazioni delle proposte o dei dinieghi dovrebbero essere coperti da segreto ex art. 9 e non dovrebbero essere verbalizzati dal mediatore (salvo espresso consenso della parte da cui provengono, che di tale riservatezza può disporre anche rinunciandovi).

In relazione alle sessioni riservate di ciascuna parte col solo mediatore, invece, va ricordato il rafforzato dovere di segreto che ha riguardo alle “dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate”, per le quali il mediatore deve tenere segretezza assoluta verso le altre parti, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, che può rinunciarvi.

 
Fonte: Cassa Forense News - 03/02/2024